La nascita della Sicilia

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La nascita della Sicilia tra miti e leggende- Il Viaggio in Sicilia

La nascita della Sicilia tra storie, miti e leggende.

Diamante del Mediterraneo, giubilo dei popoli, poche terre come la Sicilia sono il frutto di una fusione secolare di culture, tradizioni e anime.  Ma quali sono le origini della bella terra di Sicilia?

Le leggende che ruotano attorno alla nascita della Sicilia sono davvero tante e tutte intrise di un’aura mitologica accresciuta, nei secoli, dai racconti tramandati oralmente di generazione in generazione. Uno di questi narra che la Sicilia nacque dell’estro di tre ninfe, che vagavano per il mare prendendo dalle parti più fertili del mondo un pugno di terra mescolata con sassolini.

Le tre ninfe si fermarono sotto il cielo più limpido e azzurro del mondo e, dai tre punti ove si erano fermate, gettarono il loro pugno di terra nel mare e vi lasciarono cadere i fiori e la frutta che esse recavano nei veli che le ricoprivano.

Il mare, al loro apparire, si vestì di tutte le luci dell’arcobaleno e, poco a poco, dalle onde emerse una terra variopinta e profumata, ricca di tutte le seduzioni che la natura poteva offrire.

I tre vertici del triangolo, dove le tre bellissime ninfe avevano iniziato la loro magica danza, divennero i tre promontori estremi della nuova isola e si chiamarono capo Peloro dal lato di Messina, capo Passero (Pachino) dal lato di Siracusa, e capo Lilibeo dal lato di Palermo.

“Da questa configurazione a tre vertici” – scrive Enrico Mauceri – “venne alla Sicilia antica il nome di Triquetra o Trinacria che diede, forse in epoca ellenistica, quella rappresentazione strana e caratteristica al tempo stesso, di una figura gorgonica a tre gambe, adottata perfino in alcune monete dell’antichità classica, e divenuta poi il simbolo, diremo così, ufficiale dell’isola“.


Il mito di Encelado detto anche Tifeo

Un’altra leggenda, invece, ascrive la nascita della Sicilia ai tempi della lotta tra gli dei dell’Olimpo e i Giganti per la supremazia del mondo. Adirati contro Zeus, che, dopo la sconfitta del padre Crono, aveva confinati nel Tartaro i loro fratelli Titani, i Giganti, su richiesta della madre Gea, si ribellarono agli dei e tentarono la scalata all’Olimpo.

Si scatenò una guerra, che prese il nome di Gigantomachia. Dalle vette dei monti, i Giganti, guidati da Alcioneo, scagliavano massi e tizzoni ardenti contro gli dei e questi ultimi, a loro volta, scagliavano dardi, fulmini e massi contro di loro. Durante lo scontro, uno dei giganti, Encelado tentò di fuggire, ma venne colpito da Atena che, con un colpo del suo scudo, lo fece precipitare dall’alto dei cielo nel centro del Mediterraneo scagliandogli addosso un enorme masso: la Sicilia.

L’urto fece crollare il gigante, che rimase per sempre sotterrato dal peso dell’isola con l’alluce del piede destro sotto il Monte Erice, la gamba destra verso Palermo, la sinistra verso Mazara, il busto al centro dell’isola sotto Enna, le braccia verso Messina e verso Siracusa, la testa e la bocca sotto l’Etna.

Il mito narra, ancora, che l’attività del vulcano abbia proprio origine dal respiro infuocato del gigante e che i terremoti vengano provocati dai suoi tentativi di scrollarsi la terra che lo sotterra. Ma Atena, dea di sapienza e giustizia, che veglia sull’isola, non permetterà il risveglio del male.


Il mito della bellissima principessa Sicilia

Si narra anche che il nome dell’isola sia frutto di una leggenda, che parla di una bellissima ma sfortunata principessa del Libano, che si chiamava appunto Sicilia. Alla sua nascita le era stato predetto da un oracolo che al compimento dei quindici anni d’età avrebbe dovuto lasciare la propria terra natia, sola e su una barchetta, altrimenti sarebbe stata pasto dell’ingordo Greco-Levante, che le sarebbe apparso sotto le mostruose forme di un gatto mammone, divorandola.

Per scongiurare questo pericolo, non appena compì quindici anni (che così voleva l’oracolo) il padre e la madre, piangenti, la posero in una barchetta, e la affidarono alle onde.
E le onde, dopo tre mesi (ritorna puntualmente il numero 3), quando ormai la povera Sicilia credeva di dover morire di fame e di sete, poiché tutte le sue provviste si erano esaurite, deposero la giovinetta su una spiaggia meravigliosa, in una terra luminosa, calda e piena di fiori e di frutti, colma di profumi, ma assolutamente deserta e solitaria.

Quando la giovinetta ebbe pianto tutte le sue lacrime, ecco improvvisamente spuntare accanto a lei un bellissimo giovane, che la confortò, e le offerse ospitalità e amore, spiegando che tutti gli abitanti erano morti a causa di una peste, e che il destino voleva che fossero proprio loro a ripopolare quella terra con una razza forte e gentile, per cui l’isola si sarebbe chiamata col nome della donna che l’avrebbe ripopolata; e, infatti, si chiamò Sicilia, e la nuova gente crebbe forte e gentile, e si sparse per le coste e per i monti.


Qual è il fondamento storico di questa fascinosa leggenda?

Lasciando da parte le questioni etimologiche (con le quali si è arrivati a congetturare che il termine Sicilia deriverebbe dall’unione delle due voci antiche SIK ed ELIA, indicanti rispettivamente il fico e l’ulivo, e starebbe a significare la fertilità della terra siciliana) c’è da osservare che i due grandi folcloristi che hanno riportato questa leggenda, il Salomone Marino e il Pitrè, hanno concordemente indicato il riferimento culturale, cogliendolo nell’antica favola di Egesta, abbandonata dal padre Ippota su una barchetta affidata alle onde, perché non diventasse preda dell’orribile mostro marino inviato dal dio del mare Nettuno; e che poi, approdata in Sicilia, e sposa di Crìmiso, generò l’eroe Aceste di cui parla Virgilio nel quinto libro dell’Eneide; ma ambedue hanno trascurato il fondamento storico, che è dato dall’accenno all’ingordo Greco-Levante, che avrebbe divorato la povera Sicilia.

Il temibile mostro greco-levantino altro non è che l’impero bizantino, la cui dominazione in Sicilia, protrattasi dal 535 all’827, lasciò un cattivo ricordo nell’isola per il suo avido fiscalismo, tanto che fino a qualche tempo fa si diceva ai bambini cattivi, per farli impaurire: “Viri ca vénunu i greci!” (Bada che stanno per venire i bizantini).
Il che spiega sufficientemente la genesi storica della leggenda.

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